Il caso Marchionne

E’ di qualche giorno fa la notizia che la Fiat, per decisione dell’Amministratore Delegato, Sergio Marchionne, dal 2012 non farà più parte di Confindustria.

Non si vuole scendere nel merito della questione per perorare la causa di chicchessia; sviluppiamo solo un ragionamento per mostrare ancora di più le infinite contraddizioni dell’essere professionista.
Sicuramente qualcuno di voi si chiede: cosa c’entrano le decisioni assunte dalla più grande azienda automobilistica italiana ed un architetto, un avvocato, un ingegnere ed altro?
C’entrano eccome. Negli altri contributi (“Antitrust, salvaci TU…” e “Non solo l’Antitrust ma anche la BCE concorda con noi: concorrenza e liberalizzazione per il rilancio”) abbiamo fornito degli spunti sul tema della Riforma delle Professioni, argomento che da anni seguiamo e che da anni si affronta, a nostro avviso, con molta confusione.
Cominceremo col dire che non siamo contro l’istituzione Ordine; troppo spesso siamo stati liquidati, da superficiali consolidatori dello status quo, come fantomatici picconatori di questo Organo dello Stato.
Non c’è nulla di più perversamente falso; siamo solo dell’avviso che sia opportuna una profonda revisione del concetto stesso di Ordine che, nei fatti, risulta un organismo del tutto fuori dalle problematiche che affliggono i propri iscritti, con oneri ordinari di funzionamento quantomeno eccessivi (e che si auspica si possa far chiarezza al più presto) rispetto alle oggettive difficoltà di una categoria in affanno.
Tutti sono concordi con la necessità di una Riforma strutturale; ebbene, proprio perché c’è bisogno di partire dalla radice delle questioni, dobbiamo, una volta per tutte, sancire un principio che da anni è un orientamento preciso della CE: l’attività professionale è attività d’impresa.
Sappiamo benissimo che adesso si scateneranno le fazioni pro e contro questo dato; per il momento, lasciamo un attimo la contesa per andare oltre e fornire altri aspetti.
L’Italia, in quanto paese inserito all’interno della Comunità Europea, è tenuta al rispetto del Trattato, al quale ha partecipato per la stesura con i propri rappresentanti; per cui, come mai oggi si ha ancora difficoltà alla piena applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza e di mercato interno?
A nostro avviso, la situazione stagnante della professione è legata proprio alla gestione non più in linea con i tempi dell’Ordine, troppo lontana dalla base, più attenta agli aspetti protezionistici delle proprie posizioni (sventolando una “nobiltà” della prestazione d’opera intellettuale, del tutto diversa dall’impresa: dov’erano quando si è stabilito esattamente il contrario?).
Il decollo si può avere solo ricordando che: “Secondo il diritto antitrust, i professionisti sono imprese e l’ordine, in quanto ente rappresentativo di imprese, è un associazione di imprese, assoggettato quindi alle regole antitrust” (indagine conoscitiva dell’Antitrust, 18 gennaio 2007).
Per l’Antitrust, quindi (che riprende come descritto, un orientamento del Parlamento Europeo) non c’è differenza tra la Fiat e un professionista e, analogamente, tra Ordine e Confindustria.
Tuttavia, cogliamo una differenza che costituisce un’ulteriore barriera: Fiat può continuare a lavorare anche se ha deciso di non iscriversi più a Confindustria, mentre un professionista non può esercitare se decide di non iscriversi più all’Ordine.
Come si è compreso, le questioni sono tante e, molto spesso, si corre il rischio di perdersi tra i meandri di una materia estremamente complessa.
Guardare con fiducia al futuro diventa sempre più complicato: ma le continue attestazioni di solidarietà ed adesioni alle nostre idee, le aperture inequivocabili di Mario Draghi (prossimo Presidente della BCE), l’impegno ed il pungolo costante dell’Antitrust, rappresentano delle ottime premesse.

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Commenti

Viviamo alla soglia di un tempo nuovo, che esige uomini nuovi. E’ un richiesta ineludibile e gli uomini nuovi potremmo essere noi (a prescindere dalla nostra età anagrafica) se sapremo adeguarci ai tempi. Altrimenti saranno quelli che verranno dopo di noi.
Mancandoci il coraggio del cambiamento, resteremo prigionieri di un passato che non passa.
E’ probabile che il passato ci offra motivi per sentimenti di struggente nostalgia. Dubito, però, che rimpiangiamo ciò che veramente vale la pena di essere rimpianto. Indubbiamente c’è stata, in questo Paese, una manciata di anni “buoni” e un po’ tutte le categorie professionali sguazzano nel benessere.
Oggi girano sulle nostre teste i giorni di una crisi senza via d’scita, se non si assumono decisioni coraggiose. Questa crisi è come una ferita infetta, che può guarire all’istante causticandola con il nitrato d’argento, provvedimento tanto doloroso quanto risolutivo.
Basterebbero poche mosse per dare scacco matto alla crisi: diradare generosamente il sottobosco politico, rinviare a tempi migliori i progetti faraonici (penso, ad esempio, al ponte sullo stretto di Messina), tagliare le favolose pensioni regalate per motivi politici (incrementando quelle che non garantiscono una dignitosa sopravvivenza), ridurre le missioni militari all’estero (che, solo nei primi sei mesi di quest’anno, ci sono costate 668 milioni di euro), dimezzare i costi della politica (2 miliardi di euro al mese), concordare con la Chiesa una riduzione (anche provvisoria) dell’otto per mille, investire risorse economiche a piene mani nei settori della formazione e della conoscenza (il che significa puntare sui giovani) e via dicendo.
Io mi iscrissi all’Ordine degli Architetti nel 1976 e il mio numero di matricola è 1476. Vedo, dal sito dell’Ordine, che pochi giorni fa è stato attribuito il numero di poco inferiore a 14500. La matematica non è un’opinione: in 35 anni si sono iscritti all’Ordine quasi 10000 persone. Abbiamo dei dubbi sul fatto che c’è una offerta assai superiore alla domanda?
Se vogliamo che pochi lavorino e molti restino a guardare quei pochi che lavorano, lasciamo le cose come stanno. Se volessimo, invece, almeno provarci ad ottenere una più ampia partecipazione al lavoro, occorrono decisione coraggiose e vanno esplorate strade nuove, raccogliendo le sfide che un tempo nuovo ci impone.
Il mantenimento dell’esistente giova a pochi ed è incomprensibile che sia favorito da molti.
Sono anni che Antonio Sassone “studia” questi problemi e li studia seriamente (leggendosi le proposte di nuovo ordinamento delle professioni, la ricca produzione dell’Antitrust, il contributo di idee di quei pochi architetti, in Italia, che sono “cultori della materia”, ecc.).
Continuiamo a stringere la cinghia. Non siamo ancora arrivati al suo ultimo foro (il famoso “foro italico”). Quando ci arriveremo, finalmente avvieremo quel processo di trasformazione, che ci porterà a diventare uomini nuovi, per un tempo nuovo. Il passato, purtroppo, non torna e se potrà esserci un futuro migliore, dipende quasi esclusivamente da noi.