I fatti di Roma del 15 ottobre 2011
In un momento di crisi – in cui servirebbero provvedimenti coraggiosi, drastici e incisivi – la protesta civile è necessaria come il pane.
Il mio chiodo fisso è il costo della politica, diventato pesantissimo. È un iceberg, la cui punta ammonta a 24 miliardi di euro l’anno. Poi c’è la parte sommersa ed è noto che il 90% del volume di un iceberg rimane sotto la superficie marina (nascondendosi ai nostri occhi).
Ovviamente non sarebbe giusto (e non lo auspico) che i suddetti 24 miliardi si riducano a zero. La politica deve avere un costo. Nel nostro caso, occorrerebbe un “dimezzamento” e con 12 miliardi di euro l’anno, sottratti alla politica, si potrebbero fare tante belle cose, in primis dare ossigeno ai giovani.
Quale forma di protesta attuare? Secondo me, quella gandhiana, non violenta. Per protestare contro la tassa del sale, Gandhi organizzò una marcia (v. foto sotto). Partì il 12 marzo 1939 da Ahmadabad con altre 77 persone e la sua ciotolina in mano, per raggiungere il mare ed estrarvi il sale, violando il monopolio imposto. Giunsero sul bagnasciuga il 6 aprile ed erano una folla oceanica (ne furono arrestati 60000, una piccola parte dei dimostranti).
Oggi, forse, Gandhi avrebbe organizzato una marcia "virtuale", sfruttando la rete. E avrebbe raggiunto prima il suo scopo.
In Democrazia contano i “numeri”, che – com’è noto – possono essere positivi o negativi. Una manifestazione di protesta pacifica porta voti con il segno “più”. Il lancio di un sampietrino – a parte l’inaccettabilità del gesto – comporta voti col segno “meno”, perché turba e spaventa l’opinione pubblica.
Occorre stare attenti alle apparenze (che, notoriamente, ingannano) e farsi guidare dalla ragione, non dall’istinto, che può essere belluino e cieco.
È molto probabile – anzi, credo sia certo – che Draghi sia effettivamente dalla parte dei giovani. A parte che la Banca d’Italia è una delle poche istituzioni serie rimaste in questo Paese, è anche interesse dei banchieri (non dei bancarottieri) un benessere diffuso, che faccia circolare il danaro. Il mondo delle banche prospera nei paesi ricchi, langue in quelli poveri.
Nei movimenti di protesta, s’infiltrano sovente dei provocatori. A fronte di certi episodi, occorre porsi la domanda: cui prodest? A chi giova? La scoperta di un possibile movente non poche volte porta al colpevole. Spesso i colpevoli sono quelli che – come si dice a Napoli – «ci azzuppano il pane».
Il movimento degli «indignados» è di importazione (anche il “68” lo fu, essendo partito dal Maggio francese e con un retroterra culturale robusto, che andava da Marcuse a Guevara). L’attuale fenomeno è nato in Spagna, dove c’è Zapatero, che è un politico di qualità. Lo dimostra che si è dimesso, ha innescato il processo che porterà a elezioni anticipate e non si ricandiderà. Ecco perché in Spagna la protesta è pacifica e in Italia no.
Purtroppo, si sono già perduti denti, occhi e dita (e ringraziamo il cielo che ci siamo fermati qua). In Spagna – che io sappia – non c’è stato nemmeno un graffietto. Non è servito nemmeno un cerottino.
L’Italia non è la Spagna. Qua conviene indignarsi ognuno a casa propria (raccordandosi sul web), attuare una predicazione «porta a porta» (non quella di Vespa) e sferrare attacchi violenti con il cervello e con la forza delle idee. Occorre, però, selezionare bene i bersagli: Mario Draghi, quella parte di imprenditoria illuminata, gli intellettuali innovatori, i pochi politici onesti che ci sono rimasti (ci sono, anche se rappresentano una specie in via di estinzione) non sono nemici. Sono, invece, preziosi alleati. Se non lo comprendiamo, si continuerà – più o meno inconsapevolmente – ad essere complici dei nostri carnefici (fenomeno che – in piccolo e in grande – è il leitmotiv della nostra storia, anche come categoria professionale).
Gandhi - la marcia del sale.