Antitrust, salvaci TU...

Con l’entrata in vigore del DL n. 138 del 13 agosto 2011 e precisamente con l’art. 3,  viene stabilita la formazione continua e permanente e l’assicurazione obbligatoria per tutti i professionisti, i quali, se non ottempereranno a questi doveri, avranno prodotto un illecito disciplinare, sanzionabile in base a quanto dovrà essere stabilito negli ordinamenti professionali.

Come al solito in prossimità delle ferie agostane, con la mente proiettata verso lidi dove ritemprarsi per essere più pronti per i mesi a venire, il Governo (indifferentemente dal colore politico) provvede a delle disposizioni legislative molto delicate: non sono per nulla sorpreso.

Chi vi scrive nel corso degli anni ha cercato di saperne di più sull'argomento, spaziando tra storia, ordinamenti, legislazione, antitrust, con approfondimenti anche con colleghi non solo napoletani, ma anche milanesi, fiorentini, siciliani e via dicendo (un gruppo di lavoro che ebbe incontri anche con i rappresentati delle commissioni parlamentari sul tema; per saperne di più, si rimanda sanche alla sezione “Riforma delle professioni”: www.campaniarchitetti.org).

All’inizio di quest’anno, alla luce di quanto testè richiamato, ho preso parte (curando il coordinamento tecnico) al tavolo di lavoro sul tema istituito presso l’Ordine degli Architetti PPC di Napoli (il testo redatto è in attesa di essere discusso dal Consiglio).

Le mie considerazioni non hanno mai avuta la benché minima presunzione di essere la panacea di tutti i mali, tantomeno mi sono mai sentito il “salvatore della categoria”: tuttavia, avanzo delle osservazioni che credo, a buon ragione, possano rappresentare un momento di discussione per costruire finalmente le basi per un futuro diverso.

Non c’è che dire: la situazione è quantomeno “delicata” per usare un eufemismo; troppa poca “somanda” in riferimento alla sempre crescente “offerta” (si pensi che solo all’Ordine di Napoli sono iscritti quasi 9000 architetti); la crisi economica acuisce le difficoltà sia per chi ha già qualche anno di iscrizione, sia, in particolar modo, per chi si affaccia con occhi entusiastici all’attività: nella maggior parte dei casi i giovani laureati diventano manodopera specializzata a bassissimo costo, con sentimenti sempre crescenti di paralizzante frustrazione che mette a dura prova il carattere e le ambizioni.

In tutto questo scenario si registrano da quasi vent’anni tentativi di approccio alla problematica: progetti di riforma che non hanno, tuttavia, significativi connotati di innovazione, ma che, viceversa, tentano di irrigidire ancora di più il sistema, consolidando posizioni di rendita acquisite, introducendo degli ostacoli sempre maggiori nell’esercizio della professione (di seguito se ne porteranno alcuni esempi).

Non è questa la metodologia, a mio parere, più idonea per determinare un cambiamento; c’è bisogno di altro: ecco il mio pensiero.

La chiave di tutto è il recepimento e la piena applicazione del principio della libera concorrenza (normativa di settore: Legge 287/90 “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”, sulla cui vigilanza esiste l’Autorità Garante, meglio nota come Antitrust: www.agcm.it), al quale si richiamano subdolamente le proposte di Riforma in discussione nelle Commissioni parlamentari.

Sono ormai anni che si tenta di aggirare le disposizioni di questo principio; già l’8 marzo 2007 il Presidente dell’Autorità, Antonio Catricalà, audito presso le Commissioni riunite (Giustizia ed Attività produttive) della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma delle professioni, ha presentato una relazione nella quale, oltre a riportare le osservazioni dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazionee lo Sviluppo Economico) nel rapporto sull’Italia del 2005, dove è spiegato “[…]…che vede una delle cause della debolezza economica del Paese proprio nelle inefficienze dei mercati delle professioni, in quanto regolati in maniera eccessivamente protezionistica”, si sottolineano alcuni dati fondamentali che vale la pena riprendere.

Viene definito, infatti: “In particolare, il Parlamento europeo ha ribadito la pregiudiziale necessità di garantire anche nel settore delle libere professioni, la piena applicazione delle norme del Trattato CE in materia di tutela della concorrenza e di mercato interno”; ed ancora: “Si fatica, tuttora, a considerare l’attività professionale come attività d’impresa ed è, in ultima analisi, per tale motivo che nel nostro Paese una riforma strutturale delle professioni stenta a decollare”.

Nel 2009, poi, e precisamente il 15 gennaio, viene chiusa l’indagine conoscitiva (avviata con provvedimento del 18 gennaio 2007 ai sensi dell’art. 12 comma 2 della legge 287/90) sul settore dei servizi professionalivolta, in particolare, a verificare lo stato di adeguamento dei codici deontologici delle professioni di architetto, avvocato…[…]”. Ancora una volta è ribadito come “Secondo il diritto antitrust, i professionisti sono imprese e l’ordine, in quanto ente rappresentativo di imprese, è un associazione di imprese, assoggettato quindi alle regole antitrust”.

Se si analizzano i testi di riforma non ci sembra che le osservazioni dell’Autorità siano state recepite; tant’è che, a titolo di esempio, si riporta il comma 1 dell’art. 2 della proposta di legge n. 503 (prima fimataria, l’on. Maria Grazia Siliquini): “Art. 2. (Attività professionali). 1. L’attività professionale è distinta dall’attività d’impresa[…]”.

Nella sostanza si procede in una strada diametralmente opposta: invece di ricercare percorsi che consentano una più armonica interrelazione tra domanda ed offerta, si rafforzano, invece, gli aspetti protezionistici, “blindando”gli attuali assetti, introducendo ulteriori vessazioni per i professionisti, trincerandosi dietro apparenti aspetti legati all’interesse generale dei fruitori delle prestazioni. Disposizioni, come la formazione continua e permanente attraverso doverosi corsi di aggiornamento a pagamento per la sussistenza dei requisiti di iscrizione e l’assicurazione professionale obbligatoria (come stabiliti dall’art. 3 del DL richiamato in premessa), che se non vengono (e)seguite innescano strumenti di natura repressiva (determinati, in aggiunta, da colleghi agenti sullo stesso mercato professionale: secondo la normativa antitrust si parla di “abuso di posizione dominante”) così come descritto nel comma 2 art. 23 (Sanzioni disciplinari) della proposta di legge n. 2239 a firma dell’on. Pierluigi Mantini: “Il professionista che non ottempera ai doveri di aggiornamento professionale e che interrompe l’esercizio professionale per un periodo prolungato, secondo i criteri stabiliti dai rispettivi ordinamenti di categoria e codice deontologico, è sospeso o radiato dall’albo di appartenenza”.

Del tutto condivisibile, ancora una volta, risulta quanto proposto dall’Antitrust quando, nel ricordare la necessità di evitare condizioni discriminatorie di offerta di eventi formativi, precisa che “Nel contempo, gli ordini, in coerenza con la loro missione, dovrebbero anche offrire un numero di eventi gratuiti tali da consentire il raggiungimento dei crediti necessari per assolvere all’obbligo formativo”.

Da questa analisi, risulta lapalissiano notare che le proposte presenti nelle Commissioni parlamentari (di cui si sono ricordati alcuni esempi più indicativi) con sfumature diverse, alcune più spiccatamente esplicite ed altre più cripticamente ricercate, hanno in comune il perseguimento del consolidamento dello status quo, che come si è visto stride in maniera evidente con le necessità della categoria, che ha bisogno di tutt’altro per riuscire ad essere realmente competitiva e recuperare il gap con i colleghi europei.

Gli scenari non sono rosei: ma è opportuno che ogni singolo professionista, anche se assorbito completamente dalle problematiche quotidiane legate ad un lavoro sempre più complicato, rifletta in modo serio sulla situazione, informandosi sugli sviluppi sul tema, chiedendo spiegazione ad i propri riferimenti, i quali sono tenuti all’ascolto ed a mettere in campo qualsiasi iniziativa a supporto e non ricordarsi dei propri colleghi solo ed esclusivamente in prossimità di scadenze elettorali: solo con un ampio coinvolgimento di tutti i soggetti (singoli, associazioni, sindacati, Ordini), mettendo da parte le autoreferenzialità (sempre controproducenti in particolar modo quando si trattano temi così delicati), ricercando le convergenze e non le differenze o i distinguo, si potrà cominciare ad uscire dalla stagnante situazione che si protrae da troppi anni per delineare scenari futuri più consoni al decoro della nostra professione.

Arch. Antonio Sassone

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