Alberto Calza Bini

Quest’anno ho lezione a Palazzo Gravina, nell’aula 24 intitolata ad Alberto Calza Bini. Ho notato che i miei Allievi non sanno chi fu Alberto Calza Bini e, con questa breve nota, vorrei rimediare alla mancanza d’informazione.

Diciamo subito che, alla fine degli anni ’20, sorse la «Real Scuola di Architettura di Napoli» il cui primo Direttore fu Raimondo D’Aronco, affiancato dall’on. Mattia Limoncelli nel ruolo di Presidente. Appena la nascente scuola ottenne il definitivo riconoscimento (con R. D. del 26 giugno 1930) subentrò, come Direttore, Alberto Calza Bini (siamo nel dicembre del 1930). La «Real Scuola di Architettura di Napoli» aveva sede presso l’Accademia di Belle Arti (in via Santa Maria di Costantinopoli) e a Palazzo Gravina c’erano le Poste. Solo nel 1936 Palazzo Gravina fu “liberato” dagli Uffici Postali, restaurato da Camillo Guerra e destinato a sede della Facoltà di Architettura. L’anno precedente (1935) la «Real Scuola di Architettura di Napoli» diventa «Facoltà di Architettura dell'Università di Napoli»; il primo Preside della Facoltà è Alberto Calza Bini. Fu Lui, di fatto, il creatore della Facoltà e selezionò il corpo docente. Come lo selezionò? In maniera impeccabile, chiamando docenti di prim’ordine (Luigi Piccinato, Marcello Canino, Roberto Pane e via dicendo).

Calza Bini (da buon «fascistone») era determinato nelle sue cose. Si narra che i lavori di restauro di Palazzo Gravina erano pressoché terminati, ma l’edificio non veniva consegnato alla Facoltà, costretta ad arrangiarsi nello stabile dell’Accademia di Belle Arti. Che cosa fa Calza Bini? Organizza una bella «spedizione punitiva»: una mattina, insieme agli studenti, carica le suppellettili su vari carretti e procede all’occupazione, manu militari, di Palazzo Gravina. Vizio di famiglia. Gino Calza Bini (fratello del nostro Alberto) è una stella di prima grandezza del firmamento fascista romano e laziale. Il 15 dicembre 1922, presso il Grand Hotel di Roma, si riunisce, per la prima volta, il Gran Consiglio del fascismo. Parte da lì un’avventura che si concluderà, in una torrida notte del luglio 1943, con l’ultimo Gran Consiglio, che segnerà il crollo del fascismo. Nella prima seduta del Gran Consiglio è presente Gino Calza Bini (il fratello di Alberto). Lo stesso Gino che, l’anno successivo, per contestare la nomina a fiduciario di Roma dell’Avv. Vaselli, non esiterà a mandare i suoi squadristi – armi in pugno – ad assaltare la sede del fascio. Né mancarono scontri, a suon di revolverate, tra i fascisti estremisti romani capeggiati da Gino Calza Bini e le squadre di Giuseppe Bottai (che comandò una delle tre colonne che marciarono su Roma il 28 ottobre 1922).

I fratelli Calza Bini (Gino e il nostro Alberto), quando dovevano fare una cosa, la facevano e, senza il colpo di mano di Alberto, forse staremmo ancora aspettando la conclusione dei lavori di restauro di Palazzo Gravina.

Il fascismo si consolida. Se l’Esercito obbedisce al Re, occorre creare la Milizia che obbedisce al Duce. Se il Re ha i Corazzieri (appartenenti all’Arma dei Carabinieri, scelti fra quelli di più elevata statura), bisogna creare una guardia personale per il Duce: i “Moschettieri”. Chi li crea? Gino Calza Bini!

Quindi – ritornando al nostro discorso – Alberto Calza Bini fu “creatore” e primo Preside della Facoltà di Architettura (dal 1935 al 1941). Subentrerà a Lui, come Preside, Marcello Canino (dal 1941 al 1952) perché il povero Calza Bini subì un’epurazione per i suoi trascorsi fascisti, ma, come l’Araba Fenice, risorse dalle proprie ceneri e tornerà di nuovo ad occupare la carica di Preside (dal 1952 al 1955).

Un annuario dell’Università degli Studi di Napoli, stampato nel 1956, illustra concisamente i “titoli” di Calza Bini, all’epoca settantacinquenne Preside della Facoltà di Architettura: «Senatore del Regno; Cav. di Gran Croce Corona d’Italia; Gran Croce del S.M.O. di Malta; Cav. Uff. dei SS. Maurizio e Lazzaro; Onorificenza dei Principi dell’Accademia S. Luca (riservata ai soli Presidenti); Cav. della Legion d’Onore; Comm. con placca Ordine di S. Gregorio Magno; Medaglia d’oro ai benemeriti della Pubblica Istruzione; Accademico Nazionale di S. Luca; Accademico dell’Accademia delle Arti di Firenze; Membro On. Istituto Americano Architetti; Membro On. Associazione Architetti diplomati dallo Stato (Francia)». Non gli fu possibile scrivere altro. E, quella mancante, sarebbe stata la parte più interessante; come, ad esempio, «Segretario Nazionale del sindacato fascista architetti (dal 1923 al 1936); Membro della corporazione delle costruzioni edili (nomina avvenuta con decreto del Duce); Presidente dell'Istituto fascista autonomo per le case popolari della provincia di Roma, ecc.». Siamo alla metà degli anni ’50. Da non molto si era concluso il Suo internamento – quale alto gerarca fascista – nel campo di prigionia inglese di Padula, ricavato nella celebre Certosa; dove, però, riceveva regolarmente la visita del figlio Giorgio (4 novembre 1908, 29 settembre 1999), bravo architetto anch’Egli, e di qualche affezionato allievo. Tra gli allievi che si recavano a visitare l’internato, va ricordato Sirio Giametta, il quale (con Giorgio) si sottoponeva allo stress di raggiungere Padula (che era, all’epoca, una vera e propria “avventura”).

Si è, comunque, compreso che Alberto Calza Bini svolse (insieme a pochi altri, con in testa Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini) un ruolo importantissimo, nel definire la moderna figura dell’Architetto. Com’è possibile non ricordarlo in questi giorni bui, in cui incombe sulla nostra testa il pericolo di una devastante riforma dell’ordinamento professionale?

Alberto Calza Bini nasce a Roma il 7 dicembre 1881, Edoardo e di Corinna Bini. Quindi, il suo nome, all’anagrafe, è Alberto Calza. A un certo punto gli viene lo schiribizzo di aggiungere al cognome del padre quello della madre (e, da Bini, diventare Calza Bini). Per Lui non c’è problema: espone a qualcuno (forse al Duce) questo suo desiderio e, con R.D. del 9 ottobre 1924, ottiene di aggiungere al cognome del padre quello della madre, regolarizzando, anche per l’anagrafe, il cognome composto Calza Bini.

Il giovane Alberto non può laurearsi in Architettura perché le Facoltà di Architettura non esistevano (e quella di Napoli – come abbiamo visto – è tutta opera Sua). Si diploma nel 1900 presso l’Accademia di Belle Arti di Roma.

Nel remoto passato la professione di Architetto era trasmessa da Maestro ad Allievo nelle botteghe. All’inizio del XX secolo c’era il caos: esercitavano la professione di Architetto i professori di disegno, gli ingegneri, i laureati delle sezioni Architettura dei politecnici, chiunque si sentisse in grado di farlo. Non esisteva una scuola in grado di formare gli Architetti.

Subito dopo la grande guerra si accelera il processo che porterà alla creazione dell’Architetto come lo intendiamo oggi. L’ideologo è Gustavo Giovannoni (che più di altri contribuirà a creare la scuola di Roma, madre e modello di tutte le altre), ma chi ha le "entrature" necessarie, la piena agibilità politica e l’intelligenza di redigere un disegno complessivo sarà Alberto Calza Bini. Di cui tutto si può dire, tranne che gli mancasse un’acuta intelligenza politica e che non possedesse notevoli capacità organizzative (e una ferma determinazione).

Se il fascismo non fosse giunto al potere, chissà se, quando e come sarebbe sorta la moderna figura dell’Architetto. Ma – si dice - la storia non si fa coi se.

Giustamente osserva Paolo Nicoloso (a pag. 18 del suo libro Gli architetti di Mussolini, Ed. Franco Angeli, Milano, 1999) «All’architetto, Mussolini affiderà il compito di realizzare un’architettura consona allo spirito del regime, di progettare opere che testimonino nel tempo il “secolo fascista”. In altre parole, chiederà di affiancarlo nel concretare la politica di consenso nell’immediato e nel lungo periodo.»
Va sottolineata la vicinanza di Calza Bini alla Massoneria. Gino Calza Bini era Massone, come quasi tutti i gerarchi fascisti. Erano Massoni i quadrunviri al completo: Balbo, Bianchi, De Vecchi e De Bono. Lo è il capo dei fascisti napoletani Nicola Sansanelli, ma anche Aurelio Padovani (il primo ras di Napoli, appartenente alla Loggia “Leonardo da Vinci”), Giuseppe Bottai. Lo è Grandi, il vero numero due del fascismo e lo è Aldo Giuseppe Oviglio, Ministro della Giustizia del primo Gabinetto Mussolini, fino al 5 gennaio 1925 (seguirà Alfredo Rocco dal 5 gennaio 1925 al 20 luglio 1932 e chiuderà la serie Alfredo De Marsico – Massone anche Lui – dal 6 febbraio 1943 al 25 luglio 1943).
Quasi tutti erano Massoni, escluso Mussolini, inviperito nei confronti della Massoneria perché per tre volte (prima del 1922) chiese di entrarvi e per tre volte incassò un netto e mortificante rifiuto. Non lo dimenticherà e si toglierà il sassolino dalla scarpa: il 12 gennaio 1925 è presentato alla Camera un disegno di legge ad hoc, per sciogliere la Massoneria. Fondati indizi sull’appartenenza alla Massoneria ci saranno anche nei confronti di vari architetti, fra i quali spicca il nome di Marcello Piacentini (number one, anche del processo politico che porterà alla definizione della moderna figura dell’Architetto). A portare in cattedra Piacentini contribuisce Alberto Calza Bini. Paolo Nicoloso (nel libro citato) riferisce di una lettera che il giornalista Carlo Tridenti invia al sottosegretario di Mussolini, Francesco Giunta, per sostenere l’ascesa in cattedra di Piacentini e che contiene le emblematiche frasi: «Eccoti le note biografiche del mio maestro muratore. Ti ringrazio molto, moltissimo del tuo affettuoso interessamento.»

Tutto ciò può spiegare come faceva Alberto Calza Bini a entrare e uscire nei Ministeri romani, a muoversi come se fosse a casa sua e ad ottenere quello che voleva con grande facilità. Riesce ad avere, infatti, tutto ciò che desidera.
E’ l’uomo delle ope legis, con la quale ottiene abilitazione e docenza universitaria. O, se preferite, delle nomine per «alta fama».
Torniamo a Calza Bini. La Sua ascesa è irresistibile. Nell’aprile del 1923 crea, insieme a Ghino Venturi e Vincenzo Fasolo, il sindacato fascista architetti, che manterrà in pugno fino al 1936. Nel 1926 ottiene la soppressione dell’Ordine unico degli ingegneri e degli architetti. Si sarebbero dovuti creare due Ordini distinti, ma Calza Bini ottiene che gli Ordini degli Architetti non nascano e che la custodia dell’Albo sia affidata al sindacato fascista architetti.

Nel 1927 Calza Bini viene chiamato da Giovannoni ad insegnare nella scuola di Architettura di Roma. Nel 1929 è nominato, per chiara fama, professore all’Accademia di Napoli.

Nel 1929, diventerà, tutto d’un balzo, professore ordinario. La commissione che valuta quelli che Nicoloso definisce «i non eccelsi titoli di Calza Bini» (pag. 119 del già citato libro Gli architetti di Mussolini) è composta dal solito trio Giovannoni, Piacentini e Foschini, ai quali si aggiungono Antonio Cippino e Guido Ruberti. Si vocifera che dietro ci sia lo zampino del fratello Gino, il quale fa in modo che il candidato sia “appoggiato strenuamente” da Giovanni Giurati, segretario del P.N.F.

Oramai Alberto Calza Bini è l’architetto più importante d’Italia, come “peso politico”. Forse lo è Marcello Piacentini come mole d’incarichi professionali, ricevuti da ogni dove (Sua è la sede del Banco di Napoli, a Via Toledo, del 1939). Calza Bini, invece, preferisce dividersi tra politica (molta) e professione (quel tanto che basta).

Gli Ordini degli Architetti nascono col crollo del fascismo e l’avvento della Repubblica. Dal 1923 alla caduta del fascismo (che potremmo datare al Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e all’ordine del giorno Grandi), gli Albi sono tenuti dal sindacato fascista architetti, di cui è segretario prima Alberto Calza Bini (dal 1923 al 1936) e, poi, Enrico Del Debbio (quello del Foro Italico, che, oggi, è diventato l’ultimo foro della cinghia).

Come urbanista, Calza Bini curò il piano paesistico dell'isola di Ischia (1940), i piani regolatori di Salerno (1936), Taranto (1937) e Bari (1952).

Gli allievi architetti sanno, adesso, chi fu Alberto Calza Bini (seppur per sommi capi) e possono rimpiangerlo perché seppe creare una Facoltà di Architettura aperta verso la città. Emblematico fu il caso della Mostra d'Oltremare, sorta in 500 giorni sotto la responsabilità del Commissario governativo Vincenzo Tecchio. Lavorarono pressoché tutti gli architetti napoletani di allora, compreso il giovanissimo Giulio De Luca. Si consideri che l'età media degli architetti impegnati fu bassissima: appena 28 anni (avete letto bene: appena ventotto anni).

 Alberto Calza Bini (7.12.1881 - 25.12.1957)

 

Aree tematiche: